MARZO - "FINE DELL'INVERNO"
Finalmente dopo un inverno, come al solito lungo e freddo, passato molto spesso davanti al camino a raccontarci qualche piccola avventura passata, si andava incontro alle belle stagioni. La prima era a marzo, primavera, la neve ormai si era sciolta, tutta la campagna era pulita, a parte le cime delle montagne alte che come dicevano i nostri vecchi, "I muntagn i ga sù emò al càpel, parò mo al temp lè bell" (Le montagne hanno ancora il cappello, però ora si và verso il tempo bello) e anche se c'era qualche piccola nevicata, si scioglieva subito, perchè la temperatura era abbastanza mite.
C'era un altro detto che si diceva il 2 febbraio (giorno della Benedizione delle candele) "Al dì della candelora dall'inverno siamo fora" (Dal giorno della benedizione delle candele dall'inverno siamo fuori).
Le quattro stagioni ai tempi erano ancora giuste, facevano il corso normale, ora invece (6 marzo) sto scrivendo davanti al camino perchè la temperatura è ancora invernale.
A parte questa piccola pausa torniamo a parlare del mese di marzo.
Tutti incominciavano a preparare e pulire i loro pezzi di terreno col rastrello di legno (Restel ), sia i prati che venivano puliti tagliando l'erba, sia i campi coltivati. Dai prati bruciavano l'erba secca rimasta, in modo da farne ricrescere una più verde e sostanziosa per gli animali, questo lavoro si chiamava "Mundà ", nei campi veniva portato il letame, prodotto durante l'inverno dalle mucche, galline, conigli, capre o altro, con il gerlo "Al gerlu ", praticamente si faceva la preparazione per il mese di maggio.
Vorrei ricordare che il letame prodotto dalle bestie, durante l'inverno, veniva portato e depositato nelle "Bozze" strisce di terreno, non tanto grandi, poste una a fianco all'altra che ognuno possedeva.
A marzo oltre alla preparazione dei campi e prati, si incominciava anche ad affilare le attrezzature per tagliare l'erba: Il "Seghez ", tipo una grande falce che qualcuno usa ancora; oppure la "renza" (ranza). L'affilatura non era facile da fare, occorreva una bella esperienza, funzionava in questo modo: Tutti a casa avevano un pezzo legno grosso e rotondo, dalla forma di un formaggio grande detto Scepa a cui c'era piantato grosso chiodo di spessore circa 4 cm e alto 20 cm, al centro. Chi affilava le lame sedeva sulla Scepa, appoggiava la lama della Renza o del Seghez sull'estremità piatta del chiodo e piano piano con un martello piatto da tutte e due le parti si batteva sulla lama dell'attrezzo, spostandolo avanti piano piano, fino alla fine della lama. Questa operazione veniva eseguita su ciscuna delle due facce dell'attrezzo.
Questo tipo di lavoro si chiamava "Marlà ", veniva poi affilato, per ottenere una lama più tagliente. L'affilatura veniva eseguita con un attrezzo detto "La cuat "(1) (coda) bagnato assieme ad un pò d'acqua. Il contenitore Cudse di questa cuat è fatto a corno bucato, per poterlo infilare con l'acqua. Il Marlà si doveva fare ogni volta che l'attrezzatura non tagliava più. A vederlo fare sembrava facile come tutte le cose, anch'io ci ho provato a farlo tante volte, ma ho più volte rinunciato visto i cattivi risultati (peggioravo la situazione).
Quindi i nostri genitori preparavano questo e noi bambini avevamo un'usanza, sparita quasi subito, di andare nei prati "A ciamà l'erba" cioè chiamare l'erba in modo che crescesse prima, che a quei tempi era molto importante, specialmente per chi aveva le bestie.
(1) Sasso di pomice a forma di coda che si può trovare ancora in commercio
Testo di Eliseo Ceschina - Marzo 2010 {jcomments on}