IN PROSSIMITA’ DELLA FESTA DEL 25 APRILE UN RACCONTO SULL’OCCUPAZIONE TEDESCA A PIGRA
Durante la seconda guerra mondiale, dal 1943 al 1945, anche Pigra subì l’occupazione nazifascista. Pur essendo un piccolo paese giungevano anche qui truppe tedesche per fare rastrellamenti, e rapire uomini, giovani e adulti abili da inviare al fronte, costretti a combattere e morire per Hitler e Mussolini.
Ma i Pigresi erano ben organizzati e grazie alla speranza, alla furbizia e alla determinazione si può dimostrare che Davide può battere Golia. Prima dell’arrivo delle truppe in paese, alcune vedette molto attente segnalavano per tempo il pericolo, e così gli uomini, che a quel tempo erano tanti, trovavano il tempo di nascondersi.
Il loro nascondiglio, di solito, era la cantina, con a lato un piccolo locale nascosto, detto “Bocula”. L'entrata di questo piccolo passaggio veniva coperto da patate o fogliame, fatto talmente bene che era praticamente impossibile immaginare che lì sotto ci fosse nascosto qualcuno.
Altro nascondiglio era il solaio, a casa nostra detto “Graa”. Anche questo con a fianco un piccolo locale nascosto. Si copriva la porta con le fascine di legno che, all'epoca, tutti usavano per accendere il fuoco.
Questi nascondigli si potevano trovare solo grazie a una spiata, che non si verificava grazie alla forte solidarietà tra tutte le famiglie del paese.
Questi nascondigli evitavano agli uomini di non essere catturati e spediti al fronte. Ruolo determinante lo avevano le mogli. I tedeschi quando arrivavano in paese, verificata la mancanza di uomini, rastrellavano casa per casa chiedendo alle donne dov'erano i loro mariti. Queste con grande carattere e per niente intimidite, riferivano che i mariti e i figli erano già partiti per la guerra. Non fu per niente facile, per queste donne, riuscire a convincere i tedeschi, nonostante tutte le pressioni e intimidazioni dei soldati per ottenere la verità.
Mia mamma mi raccontava di quando erano entrati a casa nostra per cercare mio papà, classe 1908. Lui era ovviamente nascosto nel solaio, lei aveva in braccio mia sorella di due anni. Un tedesco gliela strappò dalle braccia, prendendosela in braccio. La minacciò che se non avesse parlato, se non avesse confessato la verità, avrebbe fatto del male a mia sorella. Mia mamma non cedette e convinse i tedeschi che il marito era al fronte. Momenti certamente non facili vissuti da mia mamma.
Mio papà Rocco fu comunque mandato ugualmente in Jugoslavia che allora era una nazione unica. Riuscì a salvarsi con altri compagni, scappando da una brutta situazione, dannosa e disastrosa per tutti.
Mi diceva che aveva fatto tanta di quella strada a piedi, giornate intere di cammino con i compagni. Non conoscendo la zona, seguivano le indicazioni delle fermate ferroviarie e per non perdere la direzione seguivano i binari del treno. Ben poco tragitto fecero in treno. A quel tempo i treni erano super controllati e bisognava evitare di essere catturati e inviati al fronte. Più faticoso, ma certamente meno pericoloso, fu effettuare un lunghissimo percorso a piedi.
Durante questo tragitto portavano con loro una valigia con qualche piccolo indumento e pochissimi viveri. Portavano la valigia in spalla come una bricolla per essere più liberi nei movimenti.
Nella valigia, mio papà aveva riposto delle pelli di volpe bianca che, a quei tempi era molto pregiata e facilmente vendibile. Basti pensare che in Val d'Intelvi si cercavano e pagavano le pelli di coniglio. Mi raccontò che le volpi venivano ammazzate la sera, nell'accampamento in Jugoslavia, quando si avvicinavano attratte dal fuoco acceso e dall'odore del cibo. Quando mi raccontava questo io rimanevo perplesso ed incredulo. Non conoscevo l’esistenza di volpi bianche. Nei nostri boschi vivevano solo volpi di colore marrone rossiccio.
Mio papà giunse a Como da solo. I suoi amici avevano seguito altre strade verso il loro paese di origine. Quando vide il lago, non credette ai suoi occhi. Gli tornavano con lacrime di nostalgia quei pensieri fissi che lo tormentavano alla sera, sui confini della Jugoslavia: “Riuscirò a tornare a casa e rivedere mia moglie e i miei figli?”.
Si riprese e tirò un sospiro di sollievo, ormai era a un passo da casa. Aveva lasciato il passato al passato. Nella sua mente ora c'era solo il posto per un unico pensiero, quello di riabbracciare finalmente la famiglia e i suoi cari.
Prese così il battello diretto verso Argegno. Il suo sguardo era sempre incollato sulle montagne. Non vedeva l’ora di passare il Punto Torriggia per scorgere Pigra sopra la montagna. Quando vi arrivò suoi occhi si fecero più grandi e lacrime di gioia infinita cominciarono a scendere. Rivedeva il suo paese tanto desiderato.
Sbarcato ad Argegno, un brivido terribile: fu sottoposto al controllo passeggeri e merci. Rimase pietrificato, si sentì come pugnalato al cuore. La sua gioia e il sogno di un suo ritorno svaniti a un passo da casa, il timore di essere rimandato al fronte.
Per fortuna e per Grazia di Dio, perché sono convinto che c'è sempre qualcuno che veglia su di noi, gli sequestrarono solo le pelli di volpe e lo lasciarono libero. “Fu un vero miracolo” mi disse. Si avviò verso la mulattiera che da Argegno porta a Pigra, passando dalla Cappella di S. Antonio (a quel tempo ancora ben tenuta), luogo di preghiera di tutti i Pigresi. Fece una lunga sosta, ringraziando Sant’Antonio e Dio per la grazia ricevuta.
Mio papà non portò a casa le pelli di volpe bianca, ma la cosa più importante che esiste al mondo: la libertà insieme alla gioia di riabbracciare tutti.
Scritto da Eliseo Ceschina